- 6 Maggio 2016
- Postato da: Ego International
- Categoria: Esportare
Dallo scorso mese di gennaio l’Iran ha intrapreso una soddisfacente strada di apertura, complice l’avvio del processo di allentamento delle sanzioni imposte dieci anni fa, e in grado di isolare Teheran in molti ambiti del commercio internazionale. Oggi, invece, l’economia e i consumi iraniani si stanno aprendo al resto del mondo. Un resto del mondo che guarda ai confini iraniani con crescente interesse, anche grazie alle sue caratteristiche più promettenti: l’Iran può infatti contare su una popolazione di 78,1 milioni di abitanti, di cui il 28 per cento di età inferiore ai 18 anni, e un reddito medio pro-capite che oscilla nella stessa fascia di classificazione della Banca Mondiale in cui, per esempio, trovare le più celebrate Brasile e Cina.
Dunque, in un momento in cui il commercio italiano, e in particolar modo quello della moda, sta cercando di diversificare i propri lidi, niente di meglio che puntare gli occhi anche sull’Iran, candidato ideale per diventare uno dei prossimi territori di maggiore affezione per le imprese tricolori.
“Per gli iraniani il lusso occidentale è molto importante – spiegava sulle pagine del quotidiano Il Sole 24 Ore dello scorso 22 aprile Gerhard Barcus, direttore generale di Certius, agenzia di consulenza che si occupa di guidare l’ingresso di aziende straniere in Iran, con sedi a Teheran e Dubai – Finora, però, hanno fatto shopping soprattutto a Dubai o in Europa. Oggi dunque i brand del lusso hanno una doppia spinta per aprire in Iran: offrire la possibilità di comprare “in casa” a chi andava all’estero e quella di acquistare, per la prima volta, a chi non poteva permettersi di viaggiare”.
A dimostrazione di ciò, è possibile osservare i numerosi brand che stanno cogliendo le opportunità aperte dal mercato iraniano per approdare in via privilegiata su tale territorio. Complice, anche, la relativa semplicità nell’avvio di un nuovo business. Un processo discretamente semplice, considerato che i permessi vengono acquisiti abbastanza in fretta, e sono consentite aziende a capitale 100% straniero (contrariamente a quanto avviene in molti altri mercati della macro zona).
Dunque, tutto bene? Non proprio, perché anche in Iran, così come in tutto il mondo, il pericolo di subire pienamente gli effetti negativi della contraffazione è più che elevato, soprattutto per mano cinese. Pertanto, a quella fetta di consumatori che non disdegnano l’acquisto di merce falsa, si aggiunge quella fetta di consumatori che limita lo shopping perché teme di comprare merce falsa: un mix sicuramente nocivo, che deve essere integrato con le caratteristiche specifiche del mercato locale, come ad esempio l’impossibilità di mostrare primi piani di visi di donna o uomini vestiti all’occidentale o ancora evocare uno stile di vita “lussuoso” (elementi che, a ben vedere, richiedono una comunicazione ad hoc per questo tipo di mercato).
Alla luce di ciò, se è pur vero che il mercato iraniano dispone di incredibile ottime prospettive di crescita, è anche vero che le sue caratteristiche non lo rendono però un immediato sbocco commerciale. E, soprattutto, non lo rendono uno sbocco commerciale gestibile in autonomia dalle imprese italiane, con la conseguenza di rendere ancora più conveniente optare per un ufficio commerciale estero in outsourcing, come Ego International Group.
Per quanto infine concerne i migliori valori di vantaggio dell’Iran, “uno dei punti di forza è certamente la sua popolazione giovane e mediamente benestante, ma entro il 2020 i più ricchi aumenteranno solo di 2 milioni di persone, contro i 70 della Cina e i 30 dell’India. Va detto che noi non lo consideriamo un mercato “di frontiera”, cioè rischioso, anzi: essendo per certi versi già maturo c’è sempre più attenzione per la qualità dei prodotti. Anche per questo gli iraniani hanno una grande considerazione della moda e del design italiano” – ricordava Alessandro Terzulli, capo economista di Sace, sulle pagine dello stesso quotidiano.
Recentemente in visita in Iran, e visibilmente soddisfatta dai punti di partenza siglati, è anche Licia Mattioli, presidente di Unindustria Torino e del comitato per l’internazionalizzazione di Confindustria, che ricorda di aver “visto un Paese che ha bisogno di tutto” e che “l’Italia parte avvantaggiata rispetto agli altri Paesi, per due motivi: il primo è che gli iraniani amano i prodotti italiani, che si tratti di macchinari o brand di moda; inoltre, l’Italia non ha mai chiuso le relazioni con il Paese durante l’embargo, dunque non si sono sentiti “abbandonati” da noi, come invece è successo con altri”.